Crisi della narrazione e narrazione della crisi
Giovanni Cucci S.I.
Il disagio della frammentazione
L’epoca attuale, detta «postmoderna», sembra avere tra le sue caratteristiche peculiari l’assenza di narrazioni globali. È l’ipotesi di fondo del celebre libro di Jean-François Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, pubblicato nel 1979. In esso Lyotard mostra che, dal punto di vista culturale, è terminata l’epoca detta «moderna», caratterizzata da narrazioni complessive e grandi progetti utopistici (gli ultimi sono stati il razionalismo, l’illuminismo, il marxismo), capaci di fornire unità e identità storica a un gruppo sociale1. A essa segue l’era della liquidità, ben rilevata da Zygmunt Bauman: «L’epoca inaugurata con la costruzione della muraglia cinese o del vallo di Adriano e conclusasi con il muro di Berlino è finita per sempre. In questo spazio planetario globale non è più possibile tracciare un confine dietro al quale ci si possa sentire realmente e totalmente al sicuro. E questo vale per sempre: per oggi e per tutti i giorni futuri che possiamo immaginare»2.
Ma le narrazioni non sono con questo scomparse: esse si sono desacralizzate (in fondo anche il marxismo era una forma di messianismo nella storia), hanno perso l’aura di assolutezza capace di spiegare le azioni di ogni tempo. Al loro posto sono subentrati i cosiddetti «miti a bassa intensità», per riprendere il titolo di un recente saggio dedicato al tema.
I miti ad alta intensità rimandano a una dimensione sacra, separata dalle vicende ordinarie, e hanno la funzione di chiarire le principali problematiche della vita. Essi si svolgono in un tempo altro da quello ordinario (un tempo appunto mitico), hanno come protagonisti esseri superiori, presentati con caratteristiche positive o negative, da imitare o da cui guardarsi (eroi, dèi, angeli o demoni), e la loro differenza può essere riconosciuta grazie a un preciso codice di valori.
I miti a bassa intensità non hanno più a che fare con il sacro e l’eterno: essi sono ambientati nella vita ordinaria, non presentano valori particolari, ma si limitano a descrivere gli accadimenti, e i loro personaggi non sono differenti dagli umani3. Il motivo per cui anch’essi vengono denominati «miti» è perché si occupano delle problematiche fondamentali della vita: l’universo e le sue civiltà (la «fantascienza»), la dimensione magica (fantasy), la morte priva di sacralità (le molteplici narrazioni di zombi e vampiri), la violenza (le serie Tv sui delitti seriali), epidemie e disastri ambientali.
Ciò che accomuna queste narrazioni è il tono apocalittico: l’assenza di possibili risposte di fronte a tali problematiche porta a prefigurare una catastrofe imminente e inarrestabile dell’intera civiltà, che non lascia scampo. Si tratta di un genere molto noto, anche a motivo della notevole diffusione e successo di pubblico a livello editoriale, cinematografico, musicale, nei videogiochi e soprattutto nei social network4. E che trova, soprattutto nelle cronache di questi mesi, dominate da una pandemia globale e inarrestabile, abbondanti spunti di riflessione e di possibili conferme.
La bassa intensità ha influenzato anche la filosofia. Nel 2011 Eugene Thacker pubblica un saggio di genere apocalittico, Tra le ceneri di questo pianeta, il primo di una serie dedicata alla filosofia horror (anticartesiana e antikantiana), in cui teorizza un mondo ormai privo di esseri umani a causa dei disastri ambientali, delle crescenti pandemie e dello sfruttamento prodotto da una politica suicida mirante al profitto senza limiti. Un mondo che si rivela essere indifferente agli umani, anzi che può finalmente vivere meglio grazie alla scomparsa dei suoi veri nemici5.
Ci si è chiesti perché alcuni tipi di proposte (ad esempio, Guerre Stellari, Harry Potter, i film e le serie Tv che hanno per oggetto zombi, vampiri ed epidemie) prevalgano su altri: anche nella bassa intensità alcune narrazioni diventano in qualche modo «classiche», hanno un grande seguito di pubblico e mostrano una notevole durata nel tempo, nonostante la frammentarietà notata da Bauman e la trama non di rado ripetitiva e sconclusionata. Evidentemente tali produzioni riescono a esprimere in maniera particolarmente riuscita la mentalità odierna circa le tematiche fondamentali della vita, soprattutto le sue crescenti e inarrestabili paure. Nello stesso tempo conservano una certa aura di mistero ed enigma propria di ogni mito.
Il risvolto pragmatico della bassa intensità
Il passaggio alla bassa intensità può essere notato anche a livello sociale e politico. Narrazioni epiche ed eroi sono sempre stati una caratteristica costante delle tradizioni di ogni tempo: la vita odierna continua a mostrarne la presenza nelle principali festività civili, nei nomi delle vie, piazze, stazioni (Garibaldi, Cavour, Vittorio Emanuele). In fondo la parola stessa «nazione» viene da nascita: «Non c’è geopolitica senza mito e non c’è mito senza rito. Ogni comunità che aspiri alla potenza ha bisogno di una radice storica […]. Mito e rito comprimono il tempo. Usano del passato per legittimare l’oggi, progettare il domani»6. Da qui anche il possibile utilizzo manipolatorio di queste narrazioni: più volte nel passato il leader di turno si è arrogato un potere assoluto, interpretandolo in termini di una missione sacra ricevuta. È interessante notare come la gran parte dei dittatori del XX secolo, oltre ad attribuirsi un’aura mitologica, per giustificare il proprio ruolo di governo abbia tentato di cimentarsi con la scrittura e le arti (con esiti infelici, ma efficaci), per portare a compimento un’impresa narrativa, oltre che economica e politica7.
Tuttavia, in linea con la lettura di Lyotard, queste grandi narrazioni sembrano oggi scomparse dall’immaginario comune: i capi di Stato si presentano sempre meno come eroi da imitare, portavoci di una vicenda epica, eccetto in qualche regime dittatoriale che ancora rivendica il culto della personalità. Per lo più i leader degli attuali governi sono anch’essi «di bassa intensità». Così come la loro narrazione, espressa da un termine di recente invenzione: storytelling. Esso fa la sua comparsa negli Usa verso la metà degli anni Novanta del secolo scorso e ricomprende una gamma sempre più grande di attività: dall’economia alla medicina, dal diritto alla politica8.
LE GRANDI NARRAZIONI SEMBRANO OGGI SCOMPARSE DALL’IMMAGINARIO COMUNE.
Per restare alla politica, colpisce il genere narrativo di alcune campagne elettorali, molto differente da qualche decennio fa e nello stesso tempo sempre più diffuso nelle varie parti del mondo. Una narrazione che ha notevole presa a livello pragmatico e serve a giustificare decisioni di grande impatto sulla scena pubblica di una nazione, o anche del mondo intero: «Le grandi narrazioni che hanno segnato la storia dell’umanità, da Omero a Tolstoj e da Sofocle a Shakespeare, raccontavano miti universali e trasmettevano le lezioni delle generazioni passate, lezioni di saggezza, frutto dell’esperienza accumulata. Lo storytelling percorre il cammino in senso inverso: incolla sulla realtà racconti artificiali […]. Non racconta l’esperienza del passato, ma disegna i comportamenti, orienta i flussi di emozione, sincronizza la loro circolazione»9.
Questi racconti vogliono ottenere il consenso dell’elettore cercando di intercettarne i bisogni e le emozioni. Sono narrazioni a bassa intensità, perché i protagonisti si presentano con le fattezze dell’uomo comune e dicono alla gente: «Sono come voi». Al suo insediamento alla Casa Bianca, Jimmy Carter ricordò le sue origini umili, il che divenne anche il titolo della sua autobiografia (A 5 anni vendevo noccioline); George Bush fece del suo riscatto dalla dipendenza da alcool uno degli argomenti principali della sua campagna elettorale; Nicolas Sarkozy gestì in maniera simile la sua candidatura alla presidenza, soffermandosi sulle sofferenze e ingiustizie a cui aveva dovuto assistere, facendo leva sulle emozioni degli ascoltatori, dei quali voleva farsi portavoce10.
Il narrative turn ha caratterizzato uno stile di politica che ben presto si è diffuso nel mondo ed è stato utilizzato dai principali leader negli ultimi anni: essi hanno «messo in scena la democrazia», piuttosto che esercitarla11.
Il web costituisce un immenso serbatoio di informazioni per adattare la narrazione ai gusti degli elettori. E per raggiungere tale sintonia si attinge alle fonti più disparate, non di rado violando la privacy dei cittadini, riprendendo informazioni personali postate sui social network. Lo scandalo di Cambridge Analytica ha rivelato che questo modo di procedere è stato utilizzato (almeno) in occasione delle campagne elettorali di Donald Trump e Ted Cruz, per il referendum sulla Brexit del 2016 e le elezioni in Messico del 2018.
Le narrazioni sono state anche la giustificazione principale per scelte discutibili che hanno cambiato lo scenario di una nazione, di un continente (come in occasione della Brexit) o del mondo intero (come l’entrata in guerra contro l’Iraq) e, anche quando sono state smentite dai fatti, ciò non ha avuto alcuna conseguenza per i suoi ideatori. Essi hanno fatto ricorso a quella che è stata chiamata «la strategia di Shahrazad»: nelle Mille e una notte l’eroe mitico, condannato a morte, racconta una storia così coinvolgente e toccante che viene graziato e guadagna in fiducia e popolarità.
Un leader a bassa intensità
Un’altra conseguenza importante di questo abbassamento di livello è che la figura del leader può con più facilità convivere con possibili gravi mancanze a livello etico o civico. In questo senso il mito a bassa intensità è espressione della «cultura terapeutica», la tendenza cioè a evidenziare la parte malata di sé (soffermandosi, ad esempio, sul proprio passato di sofferenza e di abusi subiti nell’infanzia), come forma di vicinanza all’altro, ma anche come modalità di manipolazione del consenso, giustificando in tal modo incoerenze e omissioni gravi: «Ron Davies, un parlamentare laburista che nel 1998 si era dimesso in seguito a uno scandalo sessuale, nel giugno 1999 annunciò pubblicamente di aver intrapreso una terapia psichiatrica per affrontare il suo “lato più oscuro”. Attribuì la sua condizione a un’“infanzia disturbata, violenta, emotivamente disfunzionale”. […]. Sia Clinton sia Al Gore parlavano pubblicamente delle loro difficoltà coniugali, dei problemi legati alla tossicodipendenza […]. Hillary Clinton ha parlato, riferendosi al marito, di “danni psichici” e durante l’affare Lewinski ha rivelato gli abusi subiti da Bill durante l’infanzia: “Era molto piccolo, aveva appena quattro anni, ed è stato talmente segnato dai maltrattamenti subiti che non riesce neanche a parlarne”»12.
In tal modo, quando il leader contravviene alle regole da lui stesso poste, può con più facilità essere giustificato. Un esempio recente è dato da Dominic Cummings, consigliere del primo ministro inglese Boris Johnson, che in piena emergenza dell’epidemia di coronavirus ha violato le norme sul lockdown stabilite dal governo per trasferirsi con la famiglia nella sua casa di vacanza. Tutto ciò non ha avuto alcuna conseguenza penale, a differenza dei cittadini comuni incorsi nella medesima infrazione.
Ma in tal modo lo storytelling, abbassando il livello ideale del leader, ne ha anche minato ulteriormente la credibilità, favorendo la già grave disaffezione degli elettori, l’astensionismo e la sfiducia nelle istituzioni e mettendo gravemente in pericolo l’identità stessa dei governi democratici. Come ha notato Joan Didion, se la politica diventa romanzo, la gravità dei problemi irrisolti e il crescente numero di promesse non mantenute costringe a riconoscere l’inevitabile differenza tra la realtà e la finzione: «A forza di inventare, la realtà si sbriciola, e pezzi interi dell’esistenza non possono più essere rappresentati. Fino alla costruzione di un abisso incolmabile tra la classe dirigente e il resto della popolazione»13. Lo scenario presentato rischia così di dare corpo ai peggiori timori apocalittici.
Un avvertimento da non trascurare
Le narrazioni a bassa intensità, utilizzate per lo più come forme di intrattenimento, sono una maniera particolarmente riuscita e intrigante di leggere il nostro tempo, e ripropongono la necessità di affrontare le questioni ultime. Il successo e la popolarità che le caratterizza conferma la loro capacità di rappresentare in maniera emblematica alcuni profondi cambiamenti dell’immaginario collettivo e la grande paura del futuro, ventilando un possibile punto di non ritorno. Esse costituiscono un corale e inquietante avvertimento: l’umanità andrà incontro a una catastrofe globale se non rivedrà al più presto alcuni presupposti di vita comune. Si possono ricordare in particolare alcuni temi: quello del profitto indiscriminato, che allarga pericolosamente il solco tra ricchi e poveri, con conseguenze sempre più evidenti (rivolte, migrazioni, disastri ambientali); la concezione nichilista della vita (e di conseguenza della morte), privata di dignità e di una dimensione trascendente; l’assenza di esempi a livello etico e politico, anche se non si può non rilevare in questo ambito una certa connivenza compiaciuta con il nichilismo14.
Rilevare il pericolo è importante, ma non è sufficiente. Se, come è stato notato, «il racconto è il guardiano del tempo», «un ponte tra il vissuto e il cosmo», i miti a bassa intensità non riescono ad assolvere a tale compito: essi individuano in maniera riuscita le crepe nell’essere, ma non sono in grado di ricostruire il ponte, di presentare modelli capaci di proteggere dalla catastrofe15. Tuttavia ne richiamano la necessità, specie per le giovani generazioni.
Umberto Galimberti notava che oggi molti giovani stanno male e non sanno neppure dire cosa li faccia star male, perché non hanno più a disposizione narrazioni che consentano loro di leggere le problematiche della vita e quindi, di riflesso, si trovano incapaci di leggere ciò che capita dentro di loro. Da qui la nostalgia per una proposta di senso capace di portarlo a parola: «Se siamo di fronte a una deintensificazione, non dobbiamo ignorare che ad animarla è anche spesso una domanda di una superiore intensità, che il nuovo ambiente informativo è l’habitat ideale per sette e fedi antiche e nuove, per riti antichi e nuovi, e si apre ancora di più che in passato alla creazione di spazi immaginari, in cui individui e gruppi possono cercare un’abitazione più o meno provvisoria»16.
Nelle problematiche presentate c’è una nostalgia di pienezza che non può essere disattesa. La richiesta di una «superiore intensità» all’origine delle narrazioni di ogni tempo, è non a caso uno dei fili conduttori dell’enciclica Laudato si’ (LS) di papa Francesco, dedicata alla custodia della casa comune, che a distanza di cinque anni mostra la sua enorme attualità. In essa il Papa ricorda che i disastri ecologici e le crisi globali non possono trovare soluzione se non nel contesto di una collaborazione comune e di una rinnovata mentalità. E pone alcune domande decisive, che sono anche le domande sottese a queste narrazioni: «Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? Questa domanda non riguarda solo l’ambiente in modo isolato, perché non si può porre la questione in maniera parziale. Quando ci interroghiamo circa il mondo che vogliamo lasciare ci riferiamo soprattutto al suo orientamento generale, al suo senso, ai suoi valori. Se non pulsa in esse questa domanda di fondo, non credo che le nostre preoccupazioni ecologiche possano ottenere effetti importanti. Ma se questa domanda viene posta con coraggio, ci conduce inesorabilmente ad altri interrogativi molto diretti: A che scopo passiamo da questo mondo? Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi? […] È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra» (LS 160). Le questioni ultime, da troppo tempo disattese, mostrano ora il loro drammatico risvolto.
I miti a bassa intensità non solo non hanno cancellato la necessità di narrazioni ad «alta intensità», ma ne costituiscono in qualche modo il pendant, reclamandone la presenza. C’è in essi un desiderio di riscatto, di dare un fondamento alla speranza di continuare a vivere, soprattutto di continuare a trasmettere alle generazioni future un patrimonio di valori capace di dare risposta ai problemi fondamentali del vivere che non possono essere disattesi.
1. «Semplificando al massimo, possiamo considerare “postmoderna” l’incredulità nei confronti delle metanarrazioni […]. Il ricorso alle grandi narrazioni è escluso […]; la “piccola narrazione” resta la forma per eccellenza dell’invenzione immaginativa, innanzitutto nella scienza» (J.-F. Lyotard,La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, Milano, Feltrinelli, 1981, 6; 110).
2. Z. Bauman,La società sotto assedio, Bari, Laterza, 2003, XIX.
3. Cfr P. Ortoleva,Miti a bassa intensità. Racconti, media, vita quotidiana, Torino, Einaudi, 2019, XV.
4. Cfr ivi, 33 s. Per l’influsso di queste narrazioni sul mutato rapporto con la morte e i morti, cfr G. Cucci, «Morte e digitale», in Civ. Catt. 2020 II 543-553.
5. Cfr E. Thacker,Tra le ceneri di questo pianeta, Roma, Produzioni Nero, 2019; A. Weisman,Il mondo senza di noi, Torino, Einaudi, 2017; E. Kolbert,La sesta estinzione, Milano, Beat, 2016 (premio Pulitzer 2015 negli Usa). In Italia l’horror filosofico è noto in maniera indiretta grazie alla ripresa televisiva degli scritti di Thacker e soprattutto di Thomas Ligotti (La cospirazione contro la razza umana, Milano, il Saggiatore, 2016; La straziante resurrezione di Victor Frankenstein, ivi, 2018) nella serie HBO True Detective.
6. «Tutti i miti portano a Roma», in Limes, n. 2, 2020, 7.
7. Se ne può avere un’idea nel saggio di D. Kalder,Dictator Literature. A History of Despots Through their Writings, London, Oneworld, 2019.
8. «I manager sono tenuti a raccontare storie per motivare i lavoratori e i medici sono formati per ascoltare le storie dei loro pazienti. Anche i reporter hanno aderito al giornalismo narrativo e gli psicologi alla terapia narrativa […]. Basta un colpo d’occhio in una qualsiasi libreria per constatare il successo impressionante dei libri dedicati all’arte dello storytelling, considerata come un cammino verso la spiritualità, una strategia per candidati a borse di studio, un modo per risolvere i conflitti o un piano per perdere peso» (F. Polletta,It Was Like a Fever: Storytelling in Protest and Politics, Chicago, University Chicago Press, 2006, 1).
9. Ch. Salmon,Storytelling. La fabbrica delle storie, Roma, Fazi, 2008, 13.
10. Un esempio è il discorso che Sarkozy tenne a Versailles il 14 gennaio 2007: «Sono cambiato perché mi hanno cambiato le prove della vita […]. Perché nessuno può restare lo stesso di fronte alla disperazione dei genitori di una ragazza bruciata viva […]. Trovo l’ingiustizia rivoltante ed è ingiusto che la società ignori le vittime. Voglio parlare per loro».
11. Cfr S. Ventura,I leader e le loro storie. Narrazione, comunicazione politica e crisi della democrazia, Bologna, il Mulino, 2019.
12. F. Furedi,Il nuovo conformismo. Troppa psicologia nella vita quotidiana, Milano, Feltrinelli, 2005, 76; cfr G. Cucci, «La cultura terapeutica nelle società occidentali», in Civ. Catt. 2013 II 23-36.
13. M. Marzano, «Dietro la politica», in la Repubblica, 30 maggio 2020; cfr J. Didion,Finzioni politiche, Milano, il Saggiatore, 2020.
14. Come nota Mario Iannaccone a proposito delle serie Tv sui delitti seriali, «la visione del mondo del poliziotto […] non è molto diversa da quella del leader del culto. Lo capiamo quando espone la sua filosofia, basata sull’eterno ritorno di Nietzsche. Risulta che il buono non la pensa molto diversamente dal cattivo, anche se forse non compie sacrifici umani» (M. Iannaccone, Meglio regnare all’inferno. Perché i serial killer popolano il cinema, la letteratura e la televisione, Torino, Lindau, 2017, 447).
15. Cfr P. Ricoeur,Tempo e racconto 3, Milano, Jaca Book, 1988, 369; P. Ortoleva,Miti a bassa intensità…, cit., XI; G. Cucci, «La dimensione narrativa della vita», in Civ. Catt. 2010 III 358-366.
16. P. Ortoleva,Miti a bassa intensità…, cit., 309; cfr U. Galimberti,L’ ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Milano, Feltrinelli, 2012, 11-14.